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“Tu
lascerai ogni cosa diletta
più caramente e questo è quello strale
che l’arco dello essilio pria saetta.
Tu proverai si come sa di sale
lo pane altrui, e come è duro calle
lo scendere e 'l salir per l’altrui scale”
(Dante, Paradiso XVII 55 – 60)
noantri Curdi de' Testaccio
31maggio2002
Giornata di festa e di incontro con il quartiere in occasione del terzo anniversario
del centro socio–culturale curdo
Stalker
homepage
Ararat
Organizzata dal LaBOrAtoRIO
(Ararat, Stalker, Studenti della Facoltà di Architettura delll’Università
Roma Tre, Villaggio Globale)
Con il patrocinio del I Municipio del Comune di Roma
In collaborazione con Fondazione Adriano Olivetti, Facoltà di
Architettura Roma Tre
e Master in “politiche dell’incontro” dell’Università
Roma Tre
si ringraziano Il Centro Anziani e Il Mercato di Piazza TestaccioA tre
anni dalla nascita del Centro Socio – culturale Ararat, la comunità
dei Curdi e le associazioni che la coadiuvano sentono forte l’esigenza
di incontrarsi e di conoscersi con la cittadinanza del quartiere di cui vivono.
Dopo il grande successo della festa del Newroz, il capodanno curdo, che ha
visto il 21 marzo scorso, all’Ararat, la partecipazione curiosa di centinaia
di cittadini romani, oggi la comunità curda vuole proporsi per un momento
di scambio e di confronto con il quartiere. Far conoscere le proprie usanze
e la propria cultura ma anche attraverso la mediazione creativa di artisti
e delle associazioni far comprendere quanto sia salato “lo pane altrui”(Dante)
e quanto è importante per loro il ruolo della comunità cittadina
che li ospita.
Oggi la storia di questa comunità di rifugiati inizia ad essere un
pezzo di storia del quartiere Testaccio. Questo momento di festa vuole costituire
un dono della comunità Curda al quartiere che li accoglie nella speranza
che questo’ultimo si renda consapevole di questa realtà umile
ma dignitosa. Una comunità desiderosa di essere accettata e rispettata
e di partecipare con la propria cultura e le proprie tradizioni alla vita
sociale e culturale del quartiere.
Programma
Giovedì 30 e venerdì 31 maggio
Ore 10,30 – 13,00 Mercato Testaccio
“Si come sa di sale lo pane altrui” Performance
La comunità Curda in collaborazione con Luciano Trina e Stalker distribuiranno
simbolicamente pane, da loro prodotto nel forno di Campo Boario, e avvolto
in carta da pane con sopra i versi di Dante Alighieri, tratti dalla Divina
Commedia, sulla condizione dell’esiliato.
Venerdì 31 maggio
ore 16,00 – 18,00 parco giochi Piazza S. Maria Liberatrice
“L’Arca di Noè si è fermata sul Monte Ararat”
Animazione
Gli studenti della Facoltà di Architettura animeranno i giochi dei
bambini, saranno presenti i bimbi della comunità curda, cercando di
facilitare e rendere piacevole e interessante il rapporto con i bimbi del
quartiere realizzando un modello dell’Arca di Noè e raccontando
favole della tradizione curda.
ore 18,00 – 22,00 Centro anziani di Testaccio presso il Mattatoio
La comunità Curda ospite del centro anziani offrirà ai cittadini
thè e pasticcini tipici assieme a danze e musiche tradizionali.
ore 18,00 – 22,00 Ararat (Ingresso Campo Boario da Via di Monte Testaccio)
“Un incontro” esperienza di teatro sensoriale dedicata all’accoglienza
Installazione a cura del Teatro delle Apparizioni, un percorso della lunghezza
di 20 m e largo 3 m verrà utilizzato dalla compagnia del Teatro delle
Apparizioni per introdurre un visitatore alla volta, bendato, e fargli percepire,
attraverso i sensi, i suoni, gli odori e il contatto umano, quei momenti legati
alla accoglienza in un paese straniero, quando voci e sensazioni estranee
diventano familiari e motivo di sollievo nonostante comportino una profonda
nostalgia verso la casa natia.
ore 20,00 – 24,00 Ararat
“Dino e i Koma Serhildan” concerto e cena curda
Concerto del gruppo curdo Koma Serhildan, il gruppo è nato tra
i rifugiati ospiti del Centro Ararat, il gruppo sarà affiancato da
Dino musicista curdo di fama internazionale, la festa proseguirà con
una cena curda e canti e balli tradizionali attorno al fuoco.
Ararat
E’ il centro socio-culturale curdo a Roma nato il 21 maggio 1999,
da un laboratorio Stalker con alcuni studenti della facoltà di
architettura di Reggio Calabria e realizzato assieme alla comunità
Curda di Roma, l’Associazione Azad, l’Osservatorio sui rifugiati
e migranti e il Villaggio Globale. Oggi è interamente gestito dalla
comunità Curda e mentre sopperisce alle carenze cittadine nell’accoglienza,
da qui sono passati centinaia di profughi, ha sviluppato un progetto culturale
teso alla conoscenza, alla divulgazione e alla promozione della cultura
curda in Italia, nonché all’interscambio con la cultura italiana.
Laboratorioboario
Nasce dall’incontro di Stalker con il Villaggio Globale, con il sostegno
della Fondazione Adriano Olivetti e dell’Accademia di Francia a Roma
Villa Medici. Ha per obiettivo la trasformazione integrata del Campo Boario,
in luogo pubblico dedicato alla intercultura e alla ricerca artistica
ecologicamente, socialmente e culturalmente sostenibile in collaborazione
con le comunità presenti, le associazioni, il Comune di Roma e
L’università Roma Tre.
Campo Boario
Esistono ovunque nelle grandi città, ma soprattutto nelle città
del mediterraneo, delle strane pieghe dove la ripetuta sovrapposizione
di margini consente al corso del tempo di sedimentare lì
frammenti eterogenei di spazi e di tempi diversi da quelli che la città
stessa vorrebbe riuscire ad affermare, frammenti di altrove che
col tempo diventano humus, si territorializzano, garantiti dalla
marginalità e dallo scarso controllo, danno vita a forme congenite
di diversità. Si tratta spesso di aree di scarto, prossime alle
porte della città, ai porti per le città di mare,
e alle stazioni in tempi più recenti. In una città come
Roma dove è la mano del tempo piuttosto che quella dell'urbanista
a disegnare lo spazio un territorio di questa natura riesce a sopravvivere
ancora oggi nel cuore stesso della città. Proprio lì dove
anticamente era il porto fluviale, in un angolo del centro storico, stretto
tra le mura aureliane, la ferrovia e il Tevere si trova il complesso
dismesso del Mattatoio, assieme al Monte Testaccio e al cimitero acattolico.
Una posizione marginale, nello stesso tempo eccezionale, che riesce a
garantire a questo angolo di Testaccio una sorta di diversità dal
resto della città. Non a caso il segno fisico più
rappresentativo dell'area è il Monte Testaccio, frutto del
sedimentare dei resti delle anfore con cui i romani trasportavano a
Roma vino, olio e altre mercanzie da tutto il Mediterraneo. Un monte di
scarto, meticcio divenuto col tempo genius loci di questo angolo di città.
Sotto il Monte Testaccio, verso il fiume si distende il Mattatoio, complesso
edilizio d'inizio secolo dismesso nel 1975. E' diviso in due grandi aree,
il Mattatoio vero e proprio e il Campo Boario. Il Mattatoio, solo
recentemente aperto saltuariamente ad uso fieristico ed espositivo,
è stata per decenni ermeticamente chiuso e isolato dal contesto.
La possibilità di sbirciare all'interno, ha stimolato, come
in ogni città proibita, la curiosità e il desiderio dei
cittadini, così come i sogni degli artisti e i progetti degli architetti.
D'altro canto il Campo Boario, pur recintato, ma con le porte aperte,
ha visto succedersi una quantità infinita di eventi, di usi e di
appropriazioni dello spazio. Lì hanno occupato alcune stalle per
i cavalli i conducenti delle carrozze, chiamate botticelle, che fanno
servizio turistico nel centro storico, da anni é usata come area
di transito dai Calderasha, nomadi italiani che lavorano il metallo, c'é
un centro sociale, il Villaggio Globale, attivo da dieci anni sui temi
dell'immigrazione e dell'intercultura, nonché una piccola comunità
di senegalesi, alcuni altri immigrati in ordine sparso e perfino una palestra
e un ristorante palestinese. Così mentre il Mattatoio è
pieno di strutture vuote, prive di uso, il Campo Boario è una enorme
area vuota, ricca di usi diversi.
Sono proprio questi territori i luoghi nei quali si sta attualmente giocando
la ridefinizione della nostra società e del nostro ambiente in
transito verso un futuro incerto. Si tratta di territori di frontiera
e interstiziali: Di frontiera perché costituiscono i luoghi fisici
al margine della nostra società dove si affrontano problematiche
di cui non si conoscono gli esiti. Interstiziali, perché tali problematiche,
attraversano trasversalmente lo spazio urbano. Territori vitali dove,
attraverso strategie di sopravvivenza, si sperimentano usi primari dello
spazio, inedite relazioni ambientali e sociali, a cavallo tra retaggi
del passato e presagi di futuro.
Quali sono le caratteristiche di questi territori dell’incertezza?
Indeterminazione, mutevolezza, promiscuità, ma anche attesa, sospensione
del giudizio, incapacità di decidere, che genera paura, rimozione,
rifiuto di guardare a quanto non si riesce a comprendere e quindi ipocrisia,
criminalizzazione dell’altro e dello sconosciuto oramai terribilmente
vicino. L’incertezza è tanto più destabilizzante quanto
più affrontiamo il suo territorio con degli strumenti d'osservazione
inadeguati, retaggio di una società delle certezze, atti a determinare
piuttosto che a comprendere. Strumenti incapaci di cogliere fenomeni instabili,
che si preferisce nascondere sotto una coltre d'indifferenza e timore
sociale. La naturale incertezza dei processi che qui hanno luogo è
osteggiata da un paradigma dominante che si rifiuta di vedere e quindi
è incapace a rappresentare molte di quelle trasformazioni che stanno
attualmente ridisegnando le geografie del pianeta.
“Tracciare una mappa del territorio sociale che sta emergendo è
una necessità morale e a questo compito devono contribuire con
umiltà coloro che producono conoscenza”. (A. Melucci, Culture
in gioco, 2000)
“Non ci sono strutture che esistano oggettivamente; non c’è
alcun territorio predeterminato di cui possiamo tracciare una mappa;
è l’azione stessa del tracciare una mappa che genera le caratteristiche
del territorio.” (F. Capra, The web of Life, 1996)
Più attenti all'ascolto e all'uso dello spazio che non all'astratta
pianificazione frutto di un altrettanto astratto desiderio (che di concreto
ha spesso solo interessi speculativi), Stalker si è intromesso
nella realtà del Campo Boario proprio in occasione dell'apertura
al pubblico dell'adiacente Mattatoio, nel giugno 1999, con la Biennale
dei giovani artisti del Mediterraneo. Lo abbiamo fatto, con un workshop
- tangenziale alla vera e propria Biennale – per far fronte ad un'emergenza
civile alla quale sentivamo che la città dovesse provare a dare
una risposta: l'arrivo a Roma di centinaia di richiedenti asilo curdi
al seguito del loro leader Ocalan accampatisi in rifugi di cartone nei
giardini di Colle Oppio, a due passi dal Colosseo e dall'ospedale
militare del Celio dove Ocalan è stato ricoverato prima di esser
costretto a lasciare l'Italia ed essere arrestato e imprigionato in Turchia.
Obiettivo del workshop è stato individuare uno spazio pubblico
dove progettare e realizzare un foro kurdo, una nuova piazza Kurdistan,
dove fosse pensabile il trasferimento, in forme minimali e meno aleatorie,
di, quello spazio da loro voluto e costruito per riconoscersi e far conoscere
la propria causa. Uno spazio, frutto di una relazione, quella tra la città
e i Kurdi, tutta da inventare. Uno spazio pubblico, di scambio e di confronto,
che potesse costituire una ricchezza per la città e per un intero
popolo. E' così che è nato, al Campo Boario, l'Ararat: Il
21 maggio 1999 l'edificio dell'ex veterinario del Foro Boario, un immobile
abbandonato, è stato occupato per sperimentare una nuova forma
di spazio pubblico fondata sull'accoglienza e l'ospitalità. Un
territorio dove verificare direttamente le potenzialità di relazione
tra l'attività artistica, la solidarietà civile e la trasformazione
del territorio.
L'edificio è stato ribattezzato con il nome di Ararat, monte leggendario
sul quale si arenò l'Arca di Noè scampata al Diluvio
Universale, portando in salvo tutte le specie animali e vegetali del pianeta,
nonché il nome della prima nave carica di profughi curdi giunta
in Italia. Ararat è anche e soprattutto il monte simbolo dei curdi
e degli armeni, popoli oppressi e dispersi dalla repressione turca. La
costruzione di questo spazio è stata possibile grazie allo sforzo
dei profughi curdi, dell'associazione Azad, del Villaggio Globale, e degli
artisti, architetti e studenti di architettura che hanno partecipato al
workshop " Da Cartonia a Piazza Kurdistan" curato da Stalker
per la sezione di architettura all'interno della Biennale dei Giovani
artisti dell'Europa e del Mediterraneo. Durante i giorni del workshop
gli studenti e i profughi curdi hanno realizzato per il centro multietnico
la sala da tè, la cucina, il barbiere, la sala di lettura e gli
spazi abitativi. L'intero edificio da allora continua a trasformarsi attraverso
nuove iniziative artistiche, culturali e politiche.
Ararat è nato con l'idea di trasformare un confine in uno spazio
pubblico.
Per confine si intende quell'insieme di distanze e differenze che ci dividono
da chi arriva in città dopo essere stato costretto ad abbandonare
il proprio Paese di provenienza. Tali distanze e differenze non trovano
ancora in questa città luoghi dove dispiegarsi, restando perlopiù
impercorribili. Per chi vive in città e necessariamente si confronta
con l'evidenza dei fenomeni d'immigrazione, non esiste un percorso di
avvicinamento, ci si ritrova sotto gli occhi la presenza dell'altro senza
aver coperto alcuna distanza nel tentativo di avvicinarsi e di comprendere.
Questa evidenza, accompagnata dalla banalizzazione che ne fanno spesso
i media, e dalla criminalizzazione sociale alimentata dalla destra nazionalista
e xenofoba, rende tale confine trasparente e allo stesso tempo insormontabile,
condannando all'emarginazione e al silenzio culture compresenti in città
ma che non si può dire che convivano in assenza di spazi di rappresentazione
della propria identità ma soprattutto di relazione e di confronto
con il resto della cittadinanza. Nel tentativo di dare spazio a
questo dispiegarsi di differenze, stiamo cercando, ormai da tre anni,
di dare a questo confine, così evidente al Campo Boario, la visibilità,
la consistenza e la vivibilità di uno spazio pubblico.
L'Ararat è stato il primo passo verso l'elaborazione al Campo Boario
di uno spazio pubblico, incerto e dinamico, dove si possa, attraverso
spazi e comportamenti conviviali, d'ascolto e di espressione, frequentare
e abitare quelle distanze e quelle differenze. Entrando nelle delicate
dinamiche di convivenza nell'area siamo venuti a contatto con il grande
sforzo di solidarietà e di promozione interculturale svolto dal
Villaggio Globale da più di dieci anni. Un lavoro sul campo fatto
di impegno e presenza nella gestione quotidiana di difficili convivenze,
di contenimento del degrado, ma anche di progettualità. Qui, infatti,
è nata l'idea di un progetto di recupero attento e solidale di
quel territorio, che fa della caoticità e della marginalità
del Campo Boario, la principale risorsa per un rilancio non solo urbanistico
ma anche ambientale e sociale dell'area. A questa idea abbiamo aderito
con l'intento di istruire un laboratorio di ricerca interdisciplinare,
in un territorio paradigmadico di una realtà caotica ma viva
e per larghi tratti solidale, quale è il Campo Boario.
Oggi, davanti alle ennesime ipotesi di riqualificazione dell'area invitiamo
l'amministrazione e la cittadinanza a comprendere che Il Campo Boario
è un luogo unico a Roma, espressione caotica, ma anche estremamente
complessa delle contraddizioni della città contemporanea, un luogo
che non ha bisogno di una tabula rasa per essere reinventato, ma di un'attenta
operazione di ascolto e di interazione creativa, affinché la marginalità
che lo connota si possa emancipare e dar luogo ad un laboratorio unico
nel suo genere, dove l'arte possa contribuire, calandosi al centro delle
contraddizioni, a elaborare nuovi modelli di convivenza.
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